La terza grande tendenza della composizione tecnica del lavoro è il risultato di nuovi modelli di migrazione e dei processi della mescolanza sociale e di razze.
Tutti i livelli di imprese capitalistiche nei paesi dominanti, dalle grandi alle piccole imprese, dall’ agroalimentare alla produzione, dal lavoro domestico alla costruzione, hanno bisogno di flussi costanti di migranti sia legali che illegali per integrare la forza lavoro locale e questo genera continuamente conflitti ideologici all’interno delle classi capitalistiche, come vedremo più avanti, costretti come sono dal loro portafogli a favorire i flussi migratori, ma contrari a loro nella loro coscienza morale, nazionalista e spesso razzista. Ci sono anche enormi flussi internazionali del lavoro da sud a sud e massicce migrazioni all’interno dei singoli paesi, spesso in settori molto specifici di produzione. Queste migrazioni trasformano i mercati del lavoro in termini quantitativi, rendendoli propriamente globali, anche se, naturalmente, i movimenti del lavoro non sono liberi ma altamente vincolati a percorsi specifici, che spesso comportano rischi estremi. Allo stesso tempo, i mercati del lavoro si sono anche trasformati qualitativamente. Da un lato, la migrazione di manodopera si sta spostando in modo tale che le donne costituiscono una crescente porzione dei flussi, sia per lavori tradizionalmente designati alle donne – come il lavoro domestico, il lavoro sessuale, l’assistenza agli anziani e infermieristica e anche per occupare posizioni poco qualificate ad alta intensità di lavoro in settori produttivi come l’elettronica, tessile, calzaturiero e giocattoli, dove le giovani lavoratrici sono ormai predominanti. Questo cambiamento va di pari passo con la “femminilizzazione” del lavoro, spesso in combinazione con lo stereotipo razziale delle “dita agili” delle donne nel sud del mondo.
“Idee di flessibilità, temporalità, invisibilità, e domesticità nella naturalizzazione di categorie di lavoro “, scrive Chandra Mohanty, “sono cruciali per la identificazione delle donne del Terzo Mondo come forza lavoro adeguata a basso costo. “D’altra parte, il lavoro migratorio è (ed è sempre stato), caratterizzato dalla divisione e dal conflitto razziale.
Le migrazioni a volte mettono in evidenza le divisioni razziali globali del lavoro attraversando i loro confini, e altre volte, soprattutto nei paesi dominanti, le gerarchie razziali diventano focolai di conflitto.
La migrazione, tuttavia, anche quando crea condizioni di straordinario disagio e sofferenza, possiede sempre la possibilità di sovvertire e trasformare la divisione razziale, in termini sia economici che sociali, attraverso l’ esodo e il confronto.

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