La globalizzazione promette di dare a tutti l’accesso ai mercati, al capitale e alla tecnologia e promuove un buon governo. In altre parole, la globalizzazione ha il potenziale per eliminare tutte le carenze che creano e sostengono la povertà. In quanto tale, la globalizzazione dovrebbe essere un potente motore per il recupero economico nelle regioni in ritardo del mondo. Eppure gli ultimi due secoli della globalizzazione hanno visto una grande divergenza economica su scala globale. Come è possibile? Questa domanda ha preoccupato per molti anni economisti e politici. Le risposte che hanno prodotto confluiscono intorno a due spiegazioni opposte. Una dice che il problema è la “troppo poca globalizzazione”, mentre l’altra accusa la “troppa globalizzazione”. In diversi momenti storici, ognuna di queste opinioni ha avuto seguaci ed e’ stata considerata in diverse parti del mondo. Ma il dibattito sulla globalizzazione e lo sviluppo, in definitiva, torna sempre alla confusione generata da queste opinioni contrapposte: se vogliamo aumentare la nostra crescita economica, dobbiamo aprirci alle forze che derivano dall’economia mondiale o proteggerci da esse? Purtroppo, nessuno di questi due punti di vista offre molto aiuto nello spiegare perché alcuni paesi sono cresciuti meglio di altri e quindi non è una buona guida per la politica. La verità è in un posto scomodo, al centro. La globalizzazione aumenta notevolmente il potenziale di crescita economica, ma il modo migliore per sfruttarlo non è rimuovere i costi di transazione che bloccano la piena integrazione nella misura massima possibile. Una versione “sottile” della globalizzazione, la Bretton Woods, sembra funzionare meglio. Consideriamo una metafora che una volta ho sentito da uno studente della Cina (abbastanza appropriata): tenere le finestre aperte, ma non dimenticate la zanzariera. In questo modo si ottiene l’aria fresca, ma si tengono anche lontani gli insetti.

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