Al giorno d’oggi, la mobilita’ della forza lavoro e i movimenti migratori sono estremamente diffusi e sono molto difficili da descrivere. Anche i piu’ significativi movimenti di popolazioni della modernita’ – comprese le migrazioni atlantiche dei bianchi e dei neri – rappresentano fenomeni di proporzioni lillipuziane a confronto degli enormi trasferimenti di popolazione dei nostri tempi. Lo spettro delle migrazioni di massa si aggira per il mondo. Tutte le potenze del vecchio mondo si sono coalizzate in una campagna spietata contro di esse, ma il movimento e’ irresistibile. Accanto alla fuga dal cosiddetto Terzo mondo, ci sono i flussi dei rifugiati politici e i movimenti della forza lavoro intellettuale, a cui si aggiungono i massicci trasferimenti del proletariato rurale, manifatturiero e dei servizi. Le migrazioni legali di individui che possiedono dei documenti non sono nulla a confronto delle migrazioni clandestine. I confini degli stati nazionali sono ridotti a colabrodi e qualsiasi tentativo di regolazione integrale si scontra con una pressione irriducibile. Gli economisti si sforzano di spiegare questi fenomeni ricorrendo alle equazioni e ai modelli che, se anche fossero esaustivi, non spiegherebbero mai l’irriducibile desiderio della liberta’ di movimento. Negativamente, quello che spinge queste moltitudini e’ la necessita’ di disertare le miserabili condizioni culturali e materiali della riproduzione imperiale; positivamente, e’ la ricchezza del desiderio e l’accumulazione delle capacita’ espressive e produttive, determinate dalla globalizzazione, nella coscienza di ogni individuo e gruppo umano – e, dunque, anche una certa speranza. La diserzione e l’esodo sono potenti forme della lotta di classe all’interno e contro la postmodernita’ imperiale. La mobilita’, tuttavia, costituisce un livello ancora spontaneo della lotta e, come abbiamo gia’ notato, molto spesso comporta nuove e sradicate condizioni di poverta’ e miseria.

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