La delinquenza, con gli agenti segreti che procura, ma anche con la polizia generalizzata che autorizza, costituisce un mezzo di sorveglianza perpetua della popolazione: un apparato che consente di sorvegliare, attraverso i delinquenti stessi, l’intero campo sociale. La delinquenza funziona come un osservatorio politico. A loro volta, gli statistici e i sociologi ne hanno fatto uso, molto tempo dopo la polizia. Ma questa sorveglianza è stata in grado di funzionare solo insieme alla prigione. Poiché la prigione facilita la supervisione delle persone quando vengono rilasciate, perché rende possibile il reclutamento di informatori e moltiplica le denunce reciproche, perché mette in contatto gli autori di reati, fa precipitare l’organizzazione di un ambiente delinquente, chiuso su se stesso, ma facilmente controllabile: e tutti i risultati della non riabilitazione (disoccupazione, divieti di residenza, residenze forzate, libertà vigilata) rendono fin troppo facile per gli ex detenuti svolgere i compiti loro assegnati. Prigione e polizia formano un meccanismo gemello; insieme assicurano in tutto il campo delle illegalità la differenziazione, l’isolamento e l’uso della delinquenza. Nelle illegalità, il sistema carcerario segna una delinquenza manipolabile. Questa delinquenza, con la sua specificità, è il risultato del sistema; ma diventa anche una parte e uno strumento di esso. In questo modo si dovrebbe parlare di un insieme i cui tre termini (polizia-carcere-delinquenza) si sostengono a vicenda e formano un circuito che non viene mai interrotto. La sorveglianza della polizia fornisce alla prigione i trasgressori, che la prigione trasforma in delinquenti, gli obiettivi e gli ausiliari delle supervisioni della polizia, che ne rimandano regolarmente in carcere un certo numero.

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