Uno dei paradossi della “globalizzazione” è che un mondo sempre più
interconnesso e interdipendente è contemporaneamente segnato dall’ intensificazione della militarizzazione e fortificazione dei confini nazionali. Oggi,
alcune regioni, sia nel Nord America, nel Mediterraneo o in alcune sottoregioni dell’Asia – vengono tirate in due direzioni diverse: una verso più complementarità e integrazione (ad es. NAFTA, Unione per Mediterraneo, ASEAN, SAARC) e un’altra verso l’erezione di ulteriori barriere frontali tangibili e intangibili. Nonostante gli sforzi incessanti dei paesi di accoglienza per prevenire l’attraversamento di frontiera non autorizzato da parte degli immigrati, trafficanti di droga e dissidenti, questi gruppi non sono stati scoraggiati.
Piuttosto, si sono adattati alle strategie progettate per impedirne il movimento, sviluppando nuovi modi e mezzi per aggirare tali ostacoli. Si è sostenuto che l’immigrazione illegale e i gruppi armati transnazionali non possono essere fermati unicamente dall’erezione di più muri e recinti, ma da politiche globali volte soprattutto ad affrontare le loro cause profonde.
In alcune regioni, l’immigrazione non autorizzata non è diminuita come conseguenza del più stretto controllo alle frontiere ma a causa della crisi economica che ha colpito alcuni paesi ospitanti nell’ultimo decennio. Anche se una grande quantità di denaro e di sforzi sono stati spesi per la costruzione di barriere fisiche lungo vari confini internazionali o linee di combattimento nell’era post-guerra fredda, i risultati raggiunti sono stati spesso inferiori a quelli desiderati.

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