Beccaria fu uno dei primi sostenitori dell’idea che il piacere e il dolore fossero le metriche e i motivi dell’azione umana. “La causa prossima ed efficace delle azioni è la fuga dal dolore, la loro causa finale è l’amore del piacere”. L’idea di massimizzare il benessere sociale era fondamentale per il lavoro di Beccaria. A questo proposito, Beccaria ha attinto fortemente al lavoro del suo connazionale e collega stretto Pietro Verri, che ha articolato nelle sue Meditazioni sulla felicità, pubblicate un anno prima nel 1763, la chiave di volta per il loro nuovo approccio filosofico: la felicità. “La fine del patto sociale”, scrisse Verri nel 1763, “è il benessere di ciascuno degli individui che si uniscono per formare la società, che lo fa in modo che questo benessere venga assorbito dalla felicità pubblica o piuttosto la massima felicità possibile distribuita con la massima uguaglianza possibile”.
Beccaria ha scritto, nelle pagine introduttive del suo breve tratto, che la cartina di tornasole dell’intervento statale dovrebbe essere se “conducono alla più grande felicità condivisa tra il maggior numero”. In questo passaggio, Beccaria ha approvato un quadro utilitario che ha cercato di massimizzare non solo il benessere sociale, ma più specificamente la distribuzione equa del benessere sociale. La concezione del benessere di Beccaria – e Verri – in questo senso, era in qualche modo unica nella sua enfasi sull’uguaglianza. Allo stesso modo, nelle sue Riflessioni, Beccaria ha scritto di raggiungere l’obiettivo “La più grande felicità possibile divisa tra il maggior numero.” Le società che si avvicinano a questo sono “sociali”, ha scritto Beccaria, e quelle che sono più lontane sono “selvagge”.

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