Jasper Jolly : The Guardian 21 ottobre 2020

Jasper Jolly : The Guardian 21 ottobre 2020

Israele è un attore chiave nella battaglia dell’UE sia per militarizzare i suoi confini che per scoraggiare i nuovi arrivi.
Nel 2020 l’UE ha annunciato partnership del valore di 91 milioni di dollari con Airbus, Israel Aerospace Industries ed Elbit per utilizzare i loro servizi per mantenere una presenza continua di droni nel Mediterraneo. Il drone Hermas di Elbit e il drone Heron di IAI sono stati utilizzati durante le guerre di Israele contro Gaza dal 2008. C’è una crescente concorrenza nella vendita di droni: il TB2 turco può trasportare bombe a guida laser, essere collocato in un camion a pianale e costa molto meno dei droni israeliani o americani. ma i modelli israeliani rimangono estremamente popolari. Nel 2017, i produttori israeliani di droni rappresentavano il 60% del mercato globale dei droni nei tre decenni precedenti.

Antony Loewenstein : ” The Palestine Laboratory “

Antony Loewenstein : ” The Palestine Laboratory “

“L’economia ha abbandonato le arance per le bombe a mano”, scrive il ricercatore Haim Bresheeth-Žabner in An Army Like No Other: How the Israel Defence Forces Made a Nation. È impossibile ottenere cifre esatte, perché lo Stato non le rende mai pubbliche, ma oggi ci sono oltre trecento multinazionali e seimila start-up che danno lavoro a centinaia di migliaia di persone. Le vendite sono in forte espansione, con le esportazioni della difesa che raggiungono il massimo storico nel 2021 di 11,3 miliardi di dollari, con un aumento del 55% in due anni. Anche le società israeliane di sicurezza informatica stanno crescendo vertiginosamente, con 8,8 miliardi di dollari raccolti in un centinaio di accordi nel 2021. Nello stesso anno, le società informatiche israeliane hanno assorbito il 40% dei finanziamenti mondiali nel settore.

Benjamin Beit-Hallahmi – New York Times 6.1.1983

Benjamin Beit-Hallahmi – New York Times 6.1.1983

“Ciò che gli altri considerano un lavoro sporco (collusione con le dittature), gli israeliani lo considerano un dovere difendibile e persino, in alcuni casi, una chiamata esaltata. Non c’è praticamente alcuna opposizione israeliana a questo avventurismo globale… Il ruolo del poliziotto regionale e globale è qualcosa che molti israeliani trovano attraente, e sono pronti a portare avanti il lavoro per il quale si aspettano di essere generosamente ricompensati”.

Thomas Friedman – New York Times 1986

Thomas Friedman – New York Times 1986

L’idea che lo Stato ebraico debba essere così dipendente dalla vendita di armi per la sua sopravvivenza economica o diplomatica è profondamente preoccupante per alcune persone qui, in quanto si scontra sia con l’immagine che hanno di sé sia con la loro visione dell’utopia sionista. Ma molti altri, i cosiddetti “realisti”, ribattono che la vendita di armi è un dato di fatto per tutti gli Stati-nazione, ma soprattutto per una società israeliana che ha sempre vissuto ai margini. Se Israele non vendesse armi, lo farebbero altri, e Gerusalemme sarebbe privata dei benefici economici e strategici che tali vendite comportano, senza aver cambiato minimamente il mondo. In ogni caso, sostengono i realisti, la sopravvivenza è un imperativo morale tanto quanto la nonviolenza: meglio un’utopia offuscata che un sogno morto.

Antony Loewenstein : ” The Palestine Laboratory “

Antony Loewenstein : ” The Palestine Laboratory “

Tra il 1947 e il 1949, almeno 750.000 civili su una popolazione di 1,9 milioni furono espulsi con la forza e furono rifugiati oltre i confini del nuovo Stato. I palestinesi la chiamano Nakba, la catastrofe. In sette mesi furono distrutti 531 villaggi e uccise 15.000 persone. I restanti palestinesi hanno subito percosse, stupri e internamento.

Antony Loewenstein : ” The Palestine Laboratory “

Antony Loewenstein : ” The Palestine Laboratory “

Dalla metà degli anni Cinquanta Israele, avendo sviluppato un vitale settore della difesa, iniziò a vendere le sue merci mortali oltre i suoi confini. Anni dopo, il primo ministro Ben-Gurion sottolineò che Israele “venderà armi a paesi stranieri in tutti i casi in cui il Ministero degli Affari Esteri non avrà obiezioni”. Gli anni ’50 videro lo sviluppo di società di difesa di proprietà del governo, e negli anni ’60 crebbero entità di proprietà privata, tra cui Elbit, oggi il più grande produttore privato di armi in Israele.

Antisemitismo e critica a Israele: una pericolosa confusione

Antisemitismo e critica a Israele: una pericolosa confusione

Un gruppo di scrittrici e scrittori ebrei, fra cui Naomi Klein, Judith Butler e Tony Kushner, ha scritto questa lettera aperta in risposta al ritorno di un vecchio argomento: la pretesa che criticare Israele sia antisemitismo, e per chiedere un cessate il fuoco a Gaza, una soluzione per il ritorno sicuro degli ostaggi a Gaza e dei prigionieri palestinesi in Israele e la fine dell’occupazione israeliana.

Siamo scrittori, artisti e attivisti ebrei che desiderano sconfessare la narrazione diffusa secondo cui qualsiasi critica a Israele è intrinsecamente antisemita. Israele e i suoi difensori hanno usato a lungo questa tattica retorica per proteggere Israele dalle responsabilità, per dare una veste morale all’investimento multimiliardario degli Stati Uniti nell’esercito israeliano, per oscurare la realtà mortale dell’occupazione e per negare la sovranità palestinese. Ora, questo insidioso bavaglio alla libertà di parola viene utilizzato per giustificare i continui bombardamenti militari di Israele su Gaza e per mettere a tacere le critiche della comunità internazionale.
Condanniamo i recenti attacchi contro i civili israeliani e palestinesi e piangiamo questa straziante perdita di vite umane. Nel nostro dolore, siamo inorriditi nel vedere la lotta all’antisemitismo usata come pretesto per crimini di guerra con dichiarato intento genocida.
L’antisemitismo è una parte dolorosa del passato e del presente della nostra comunità. Le nostre famiglie sono sfuggite a guerre, vessazioni, pogrom e campi di concentramento. Abbiamo studiato la lunga storia di persecuzioni e violenze contro gli ebrei e prendiamo sul serio il continuo antisemitismo che mette a rischio la sicurezza degli ebrei in tutto il mondo. Lo scorso ottobre si è celebrato il quinto anniversario del peggior attacco antisemita mai commesso negli Stati Uniti: gli undici fedeli dell’Albero della Vita – Or L’Simcha di Pittsburgh, uccisi da un uomo armato che sosteneva teorie cospirative che incolpavano gli ebrei dell’arrivo dei migranti centroamericani e che, in tal modo, disumanizzavano entrambi i gruppi. Rifiutiamo l’antisemitismo in tutte le sue forme, anche quando si maschera da critica al sionismo o alle politiche di Israele. Riconosciamo anche che, come ha scritto il giornalista Peter Beinart nel 2019, “l’antisionismo non è intrinsecamente antisemita, e sostenere che lo sia sfrutta la sofferenza ebraica per cancellare l’esperienza palestinese”.

Riteniamo che questa tattica retorica sia antitetica ai valori ebraici, che ci insegnano a riparare il mondo, a mettere in discussione l’autorità e a difendere gli oppressi dagli oppressori. È proprio a causa della dolorosa storia dell’antisemitismo e delle lezioni dei testi ebraici che sosteniamo la dignità e la sovranità del popolo palestinese. Rifiutiamo la falsa contrapposizione tra la sicurezza degli ebrei e la libertà dei palestinesi; tra l’identità ebraica e la fine dell’oppressione dei palestinesi. Crediamo infatti che i diritti degli ebrei e dei palestinesi vadano di pari passo. La sicurezza di ciascun popolo dipende da quella dell’altro. Non siamo certo i primi a dirlo e ammiriamo coloro che hanno dato forma a questa linea di pensiero sulla scia di tanta violenza.
Comprendiamo da dove nasca la confusione fra l’antisemitismo e la critica a Israele o al sionismo. Per anni, decine di Paesi hanno sostenuto la definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance. La maggior parte degli undici esempi di antisemitismo che essa contiene riguardano commenti sullo Stato di Israele, alcuni dei quali possono essere interpretati in modo tale da limitare l’ambito delle critiche accettabili. Inoltre, la Anti-Defamation League classifica l’antisionismo come antisemitismo, nonostante i dubbi di molti dei suoi stessi esperti. Queste definizioni hanno favorito l’intensificarsi delle relazioni del governo israeliano con forze politiche di estrema destra e antisemite, dall’Ungheria alla Polonia agli Stati Uniti e oltre, mettendo in pericolo gli ebrei della diaspora. Per contrastare queste definizioni generiche, un gruppo di studiosi dell’antisemitismo ha pubblicato la Dichiarazione di Gerusalemme nel 2020, offrendo linee guida più specifiche per identificare l’antisemitismo e distinguerlo dalle critiche e dai dibattiti su Israele e il sionismo.

Le accuse di antisemitismo alla minima obiezione alla politica israeliana hanno permesso a lungo a Israele di sostenere un regime che gruppi per i diritti umani, studiosi, analisti legali e organizzazioni palestinesi e israeliane hanno definito di apartheid. Queste accuse continuano ad avere un effetto spaventoso sulla nostra politica. Questo ha significato la soppressione politica a Gaza e in Cisgiordania, dove il governo israeliano confonde l’esistenza stessa del popolo palestinese con l’odio per gli ebrei di tutto il mondo. Nella propaganda rivolta internamente ai propri cittadini ed esternamente all’Occidente, il governo israeliano afferma che le rivendicazioni dei palestinesi non riguardano la terra, la mobilità, i diritti o la libertà, ma piuttosto l’antisemitismo. Nelle ultime settimane, i leader israeliani hanno continuato a strumentalizzare la storia del trauma ebraico per disumanizzare i palestinesi. Nel frattempo, gli israeliani vengono arrestati o sospesi dal lavoro per i loro post sui social media in difesa di Gaza e giornalisti israeliani temono conseguenze per aver criticato il loro governo.

Definire tutte le critiche a Israele come antisemite, inoltre, schiaccia nell’immaginario popolare tutto il popolo ebraico su Israele. Nelle ultime due settimane negli Usa, abbiamo visto sia democratici che repubblicani difendere l’identità ebraica sulla base del sostegno a Israele. Una lettera molto vaga firmata da decine di personalità e pubblicata il 23 ottobre ha ripetuto a pappagallo le posizioni del Presidente Biden come sostenitore del popolo ebraico sulla base del suo appoggio a Israele. Di recente la 92NY ha rinviato un evento con l’autore Viet Thanh Nguyen, che aveva firmato una lettera in cui chiedeva la fine degli attacchi di Israele a Gaza, sottolineando la sua identità di “istituzione ebraica”. Come altri hanno osservato, i tentativi di collocare storicamente gli attacchi del 7 ottobre sono visti come un ripudio della sofferenza ebraica piuttosto che come necessari strumenti per comprendere e porre fine a tale violenza.
L’idea che tutte le critiche a Israele siano antisemite diffonde l’idea che palestinesi, arabi e musulmani siano intrinsecamente sospetti, agenti dell’antisemitismo finché non dicono esplicitamente il contrario. Dal 7 ottobre, i giornalisti palestinesi hanno dovuto affrontare una repressione senza precedenti. Un cittadino palestinese di Israele è stato licenziato dal suo lavoro in un ospedale israeliano per un post su Facebook del 2022 che citava il primo pilastro dell’Islam. I leader europei hanno vietato le proteste a favore della Palestina e hanno criminalizzato l’esposizione della bandiera palestinese. A Londra, un ospedale ha recentemente tolto dei disegni realizzati da bambini di Gaza dopo che un gruppo pro-Israele ha affermato che facevano sentire i pazienti ebrei “vulnerabili, molestati e vittimizzati”. Persino dei disegni di bambini palestinesi vengono associati a un’allucinazione di violenza.

I leader statunitensi alimentano ulteriormente la confusione schiacciando la sicurezza degli ebrei sul finanziamento militare incondizionato e costante di Israele, che non ha alcuna intenzione di fare la pace. Il 13 ottobre, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha diffuso una nota interna in cui si esortavano i funzionari a non utilizzare il linguaggio della “de-escalation/cessate il fuoco”, della “fine della violenza/spargimento di sangue” o del “ripristino della calma”. Il 25 ottobre, Biden ha messo in dubbio il numero di morti palestinesi e lo ha definito il “prezzo” della guerra di Israele. Questa logica crudele continuerà a favorire l’antisemitismo e l’islamofobia. Il Dipartimento di Sicurezza Nazionale si sta preparando per un aumento previsto dei crimini d’odio contro ebrei e musulmani, che è già iniziato.
Per ognuno di noi, l’identità ebraica non è un’arma da brandire nella lotta per il potere di Stato, ma una fonte di saggezza che dice: “Giustizia, giustizia, perseguirai”. Tzedek, tzedek, tirdof. Ci opponiamo allo sfruttamento del nostro dolore e al silenzio dei nostri alleati.
Chiediamo un cessate il fuoco a Gaza, una soluzione per il ritorno sicuro degli ostaggi a Gaza e dei prigionieri palestinesi in Israele e la fine dell’occupazione israeliana. Chiediamo inoltre ai governi e alla società civile degli Stati Uniti e dell’Occidente di opporsi alla repressione del sostegno alla Palestina.
Ci rifiutiamo di permettere che queste richieste urgenti e necessarie vengano soppresse in nostro nome. Quando diciamo “mai più”, lo diciamo sul serio.

La traduzione e’ a cura della redazione di micromega.net

Ilan Pappé : ” Ten Myths About Israel “

Ilan Pappé : ” Ten Myths About Israel “

Intellettuale e studioso socialista, ebreo e anti-sionista, di formazione comunista, è uno dei rappresentanti della cosiddetta Nuova storiografia israeliana, che ha come fine scientifico ed etico quello di sottoporre a un accurato riesame la documentazione orale, che è prevalsa per decenni, nel tracciare le linee ricostruttive storiche relative alla nascita dello Stato d’Israele e del sionismo in Israele; nella “nuova storiografia” Pappé rappresenta la voce più critica nei confronti della leadership israeliana (da Ben Gurion in poi) e in favore dei palestinesi.

1881

Ondate di pogrom russi durano fino al 1884. Il movimento sionista appare in Europa.

1882

Prima Aliyah (1882-1904). La fondazione di Rishon LeZion, Zichron Yaacov e Rosh Pina in Palestina.

1897

Il primo congresso sionista a Basilea. L’istituzione del Congresso Sionista Mondiale.

1898

Il Secondo Congresso Sionista.

1899

Il Terzo Congresso Sionista.

1901

Viene fondato il Fondo Nazionale Ebraico (JNF).

1904

La seconda Aliyah (1904–14).

1908

Viene istituito l’Ufficio per la Palestina (nel 1929 divenne Agenzia Ebraica).

1909

Viene fondato Degania, il primo Kibbutz (Kvutzat Degania). L’edificio di Tel Aviv. Viene fondato l’Hashomer.

1915-1916

La corrispondenza Hussein-McMahon.

1916

L’accordo Sykes-Picot.

1917

La Dichiarazione Balfour. La Gran Bretagna occupa la Palestina e la governa attraverso un’amministrazione militare (fino al 1920).

1920

Viene fondata l’Haganah. Viene fondata l’Histadrut. La Conferenza di San Remo concede alla Gran Bretagna il mandato sulla Palestina.

1922

La Gran Bretagna riconosce la Transgiordania come entità politica separata e Amir Abdullah come suo sovrano. Il Congresso americano approva la Dichiarazione Balfour.

1923

Il mandato britannico sulla Palestina e sulla Transgiordania viene autorizzato prima dalla Società delle Nazioni, poi dal Trattato di Losanna.

1931

L’Irgun si divide dall’Haganah.

1936

Scoppia la rivolta araba che durerà fino al 1939.

1937

La Commissione Reale Peel.

1940

Il “Lehi” (banda Stern) si separa dall’Irgun. Lancio del progetto Village Files.

1946

La Commissione d’inchiesta anglo-americana.

1947

La Gran Bretagna annuncia la fine del mandato e trasferisce la questione della Palestina all’ONU. L’ONU forma un comitato speciale, UNSCOP, che raccomanda la spartizione. Ciò è approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Risoluzione 181).

1948

La pulizia etnica della Palestina: finisce il mandato britannico, lo Stato d’Israele dichiarato e riconosciuto da Stati Uniti e URSS. Israele in guerra con le truppe che entrano in Palestina dai paesi arabi vicini mentre completa l’espulsione di metà della popolazione palestinese, demolendo metà dei suoi villaggi e svuotando e distruggendo undici delle sue dodici città.

1949

Risoluzione 194 dell’UNGA (che chiede il ritorno dei profughi palestinesi). Accordi di armistizio tra Israele, Egitto, Giordania, Libano ed Egitto. Ai restanti cittadini palestinesi in Israele viene imposto il governo militare, che rimarrà in vigore fino al 1966.

1950

Inizia l’immigrazione degli ebrei dai paesi arabi.

1956

Israele si unisce a Gran Bretagna e Francia in una guerra contro Nasser in Egitto, occupando la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza. Il massacro di Kafr Qasim.

1959

Rivolte di Wadi Salib (rivolte dei Mizrahi ad Haifa per protestare contro la discriminazione).

1963

La fine dell’era Ben-Gurion.

1967

La Guerra dei Sei Giorni: Israele occupa il Sinai e la Striscia di Gaza, le alture di Golan, Gerusalemme Est e la Cisgiordania. La risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite invita Israele a ritirarsi da tutti i territori occupati. Inizia il progetto di insediamento israeliano in Cisgiordania e Gaza.

1973

La guerra di ottobre: Israele occupa parte dell’Egitto vero e proprio e mantiene il controllo delle alture di Golan dopo un sanguinoso conflitto che ha colto lo stato di sorpresa.

1974

La Risoluzione 338 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riafferma il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione e all’indipendenza nazionale.

1976

La Giornata della Terra Proteste dei palestinesi in Israele contro la giudaizzazione della Galilea.

1977

Il Likud guidato da Menachem Begin vince le elezioni nazionali dopo trent’anni di governo laburista. Il presidente egiziano Anwar Sadat visita Gerusalemme e avvia colloqui bilaterali con Israele.

1978

Firmato il trattato di pace tra Israele ed Egitto. Attacco dell’OLP a Tel Aviv ricambiato dall’operazione “Litani”: Israele occupa parte del Libano meridionale.

1981

Annessione delle alture di Golan a Israele.

1982

Il Sinai tornò in Egitto. Operazione “Pace per la Galilea” in cui Israele invade il Libano nel tentativo di distruggere l’OLP.

1987

La prima Intifada palestinese.

1989

Crollo dell’URSS e migrazione di massa di ebrei e non ebrei da tutto il blocco orientale verso Israele.

1991

Prima Guerra del Golfo. Gli Stati Uniti convocano a Madrid una conferenza internazionale sulla Palestina.

1992

Il partito laburista torna al potere e Yitzhak Rabin diventa primo ministro per la seconda volta.

1993

L’OLP e Israele firmano alla Casa Bianca la Dichiarazione di principi di Oslo.

1994

Viene costituita l’Autorità Nazionale Palestinese e Yasser Arafat, presidente dell’OLP, arriva nei territori occupati per diventare presidente dell’ANP. Israele e Giordania firmano il trattato di pace.

1995

Firmato Oslo II (accordo provvisorio per il controllo palestinese di parti della Cisgiordania e della Striscia di Gaza). Yitzhak Rabin viene assassinato.

1996

Il Likud torna al potere e viene formato il primo governo Benjamin Netanyahu.

1999

Il laburista Ehud Barak eletto primo ministro.

2000

Israele si ritira dal Libano meridionale. Scoppia la Seconda Intifada.

2001

Ariel Sharon, capo del Likud, eletto primo ministro. Successivamente forma un proprio partito (Kadima) e vince le elezioni del 2005

2002

Il progetto del Muro in Cisgiordania è approvato; l’implementazione inizia nel 2003.

2005

Sharon rieletta. Viene lanciato il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni. Israele evacua dagli insediamenti e dalle basi militari di Gaza.

2006

Hamas vince le elezioni per il secondo Consiglio Legislativo Palestinese (PLC). Israele, il Quartetto del Medio Oriente (Stati Uniti, Russia, Nazioni Unite e Unione Europea), diversi stati occidentali e gli stati arabi impongono sanzioni all’Autorità Palestinese, sospendendo tutti gli aiuti esteri. Inizia l’assedio di Gaza. Seconda guerra del Libano e attacco israeliano alla Striscia di Gaza.

2006

Ehud Olmert eletto primo ministro (nel febbraio 2016 Olmert ha iniziato una pena detentiva di diciannove mesi per corruzione e ostruzione alla giustizia).

2008

Guerra di Gaza – Operazione “Piombo Fuso”. Le Nazioni Unite e le organizzazioni per i diritti umani contano più di 1.400 morti palestinesi, di cui 926 civili disarmati. Sono stati uccisi tre civili israeliani e sei soldati.

2009-2013

Secondo governo Netanyahu.

2011

Protesta sociale in tutto Israele (The Tent Movement).

2012

Operazione “Pilastro delle Nuvole”. Quattro civili israeliani e due soldati sono stati uccisi in attacchi missilistici palestinesi. Secondo l’ONU, morirono complessivamente 174 palestinesi, di cui 107 civili.

2013-2015

Terzo governo Netanyahu.

2014

Operazione “Margine Protettivo”. Secondo le stime principali, tra i 2.125 e i 2.310 abitanti di Gaza furono uccisi (1.492 civili, tra cui 551 bambini e 299 donne), e tra i 10.626 e i 10.895 furono feriti (tra cui 3.374 bambini, di cui oltre 1.000 rimasti permanentemente disabili). Sessantasei soldati israeliani, cinque civili israeliani (incluso un bambino) e un civile tailandese sono stati uccisi, e 469 soldati dell’IDF e 261 civili israeliani sono rimasti feriti. Israele ha distrutto circa 17.000 case e ne ha parzialmente distrutte 30.000.

2015

Quarto governo Netanyahu.

Vorrei ringraziare il mio amico Marcelo Svirsky per aver compilato questa sequenza temporale.

Ilan Pappé

Antony Loewenstein : ” The Palestine Laboratory “

Antony Loewenstein : ” The Palestine Laboratory “

Tutti i media in Israele, insieme agli editori e agli autori, devono sottoporre le storie relative agli affari esteri e alla sicurezza al capo censore militare delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) prima della pubblicazione. Nessun altro paese occidentale ha un sistema del genere. È una regolamentazione arcaica iniziata subito dopo la nascita di Israele. Il censore ha il potere di bloccare interamente la storia o di oscurarla parzialmente.

Judith Butler : ” Undoing Gender “

Judith Butler : ” Undoing Gender “

Una concezione antimperialista o almeno non imperialista dei diritti umani internazionali deve mettere in discussione cosa si intende per umano e imparare dai vari modi e mezzi con cui viene definito nelle diverse sedi culturali. Ciò significa che le concezioni locali di ciò che è umano o, addirittura, di quali siano le condizioni e i bisogni fondamentali della vita umana, devono essere sottoposte a reinterpretazione, poiché ci sono circostanze storiche e culturali in cui l’umano è definito diversamente.