Il concetto di una società di proprietà di investitori esterni ha implicazioni che appaiono sempre più anacronistiche. Una parte sempre più piccola del valore di un’azienda è il valore dei suoi edifici, attrezzature e beni commerciabili. È importante invece il valore dei suoi dipendenti. Quando le aziende vengono comprate e vendute, ciò che viene effettivamente acquistato e venduto è, soprattutto, il suo personale, le persone con le loro capacità, abilità e conoscenze sinergiche dei sistemi aziendali e dei metodi di produzione. Solo loro hanno la capacità di far funzionare l’azienda. E, naturalmente, il concetto di un gruppo di persone comprate e vendute, e appartenenti a chiunque tranne che ad essi stessi, è un concetto che è l’esatto opposto della democrazia. I dipendenti non dovrebbero avere il pieno controllo del proprio lavoro e della distribuzione dei propri guadagni? E gli azionisti esterni dovrebbero davvero ricevere un reddito da speculazione oltre gli interessi convenuti sul capitale? La partecipazione, l’impegno, il controllo e la partecipazione agli utili sarebbero massimizzati se le aziende fossero al 100 per cento di proprietà dei dipendenti. Le aziende potrebbero raccogliere capitali attraverso prestiti o ipoteche, mantenendo il controllo da soli. Al momento, solo una piccola parte del denaro giocato in borsa dà un contributo all’aiutare le aziende ad acquistare beni produttivi. In effetti, nel tempo il pagamento dei dividendi agli azionisti esterni rappresenta un notevole esaurimento degli utili delle società che sarebbero potuti essere utilizzati per migliorare la tecnologia e le attrezzature.

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