Le pratiche di mobilità sono parte integrante della conseguente eterogeneità del lavoro vivente comandato e sfruttato dal capitale. L’approfondimento di questa eterogeneità deve essere colto se vogliamo spiegare con successo la proliferazione di confini che caratterizza il nostro presente globale. Questo approfondimento dell’eterogeneità del lavoro e questa proliferazione di confini tagliano e attraversano la mappa del mondo. Essi destabilizzano la possibilità stessa di dare per scontate le grandi divisioni quali nucleo e periferia, mettendo in discussione anche la capacità dei confini nazionali di circoscrivere spazi economici omogenei. Ciò non significa che il concetto di divisione internazionale del lavoro sia diventato inutile.

Ovviamente, non viviamo in un mondo “liscio”, in cui la geografia non conta più e il divario tra il comando (e le frontiere) del capitale e la sovranità politica (e i confini) sta svanendo. Questo divario continua ad esistere ma si articola all’interno di mutevoli assemblaggi di territorio e potere, che operano secondo una logica molto più frammentata e sfuggente di quanto non fosse nell’età classica dello stato-nazione.

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